mercoledì 9 gennaio 2013

 

sabato 19 marzo 2011

ESOTISMO E PROCESSUALITA' NELL'OPERA DI ENRICO PIRAS

Osservando il lavoro di Enrico Piras (Cagliari, 1987), possiamo riscontrare in primo luogo un’attitudine processuale. Tale attitudine è orientata all’individuazione di toponimi di senso a cui l’uso ordinario ha sottratto la referenzialità. L’artista usa differenti medium, dall’approccio individuale e pittorico all’appropriazione di immagini e documenti che, assemblandosi, generano nuove forme possibili. Tali forme però sono aperte ad accogliere suggestioni varie, si attivano attraverso l’esperienza soggettiva e non prevedono un unico risultato.

In Cabinet de souvenirs questo processo è particolarmente manifesto. Il souvenirs è il feticcio per eccellenza. Esso assume su di sè l’accezione della memoria, attraverso esso è possibile tracciare la mappa di una individualità storica, geografica, sensibile. L’opera si configura come agglomerato di oggetti, per lo più dal carattere naif, Piras se ne serve per costruire identità fittizie, per mostrare ciò che altrimenti sarebbe impossibile dire, mostrare un’attitudine appunto.

Dunque il cuore della ricerca di Piras non sta meramente in un’analisi sulle dinamiche di svuotamento del senso ma piuttosto in un’analisi dei processi di ridefinizione ad esso correlati ed in particolare a come questi processi contengano in sé l’esperibilità del soggetto.

Piras si focalizza sulle immagini, sul lato manifesto di un dato. Mostrando fotografie d’epoca, spezzoni tratti da documentari, facilmente reperibili su youtube, l’artista ci suggerisce come il nostro modo di fruire sia capace di dar vita ad immaginari liberi, lontani da una presa diretta con la realtà che li ha generati.

In Exotic exercises l’immaginario è quello esotico appunto. Una serie di fotografie realizzate in villaggi africani di cui sfoggia usi e costumi. Ma la presenza della bambina in rosso, che emula gesti e simbologie, abbigliata in maniera evidentemente occidentale, dimostra che siamo in presenza di qualcosa di diverso. Del resto se rimandiamo all’etimologia del termine “esotico” inteso come “fuori da” ci rendiamo facilmente conto di come tale accezione si riferisca piuttosto a una nostra proiezione nei confronti dell’alterità. Non a caso un simile modo di concepire è sfociato, in taluni casi, in dinamiche espressamente razziste.

"Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati ". (Ludwig Wittgenstein)

In ultima analisi, la ricerca artistica di Piras non è enunciabile tanto attraverso tematiche ricorrenti o tecniche impigate, quanto piuttosto nella metodologia di costruzione creativa, una metodologia che, proprio per la sua natura eclettica, lascia aperto il campo alle interpretazioni e in tal modo può essere compresa solo attraverso la sensibilità personale.



giovedì 27 gennaio 2011

INTERFERENZA D'AUTORE NELL'OPERA DI ROSA MENKMAN

di Daniela Cotimbo



La complessità del rapporto tra artista è tecnologia è da sempre un tema scottante che si articola in posizioni anche piuttosto discordanti. Da un lato c’è chi proprio non ce la fa a sostenere il peso di un progresso che sembra annullare ogni traccia di espressione umana, dall’altra c’è chi è desideroso di sfruttarne il più possibile le peculiarità, chi se ne serve come di una protesi per ampliare le proprie possibilità e c’è infine chi, come Rosa Menkman, ne viene attratto per le particolari declinazioni estetiche. Il glitch, termine usato in elettrotecnica per designare un errore non prevedibile, diventa così il mezzo attraverso cui l’artista esplora i limiti della tecnologia e al tempo stesso ne evidenzia le capacità “devianti” alla ricerca di nuove forme espressive.

Per la prima volta l’Italia celebra il suo lavoro in una personale alla galleria Fabio Paris a cura di un guru dell’arte elettronica, Domenico Quaranta. La mostra, intitolata Order and Progress con riferimento diretto alla bandiera brasiliana, è infatti proprio ispirata da un soggiorno dell’artista a San Paulo e si protrarrà dal 15 gennaio al 25 febbraio.

I lavori esposti appaiono come collage di pixel dai colori squillanti, per un attimo ci si dimentica di essere in presenza di qualcosa di afunzionale e si viene catturati da un’estetica fluida, quasi organica, desiderio di supremazia sulla macchina o riappacificazione con essa? Tra questi spicca il ciclo The Vernacular of File Formats, nato per illustrare la tesi portata avanti dall’artista in suo saggio dove metteva in guardia sui rischi dello sfruttamento dell’effetto glitch una volta diventato mera forma estetica. In uno dei video del ciclo l’artista si pettina davanti alla telecamera con esplicito riferimento al lavoro di Marina Abramovic (con il suo Artists Must Be Beautiful).

http://www.fabioparisartgallery.com/

domenica 8 agosto 2010

LA DISTRAZIONE

a cura di Daniela Cotimbo




“La vacuità è una pienezza discorde, uno spettrale mondo affollato nel quale l’anima va in esplorazione.”
Henry Miller



Nell’era della dislocazione sensoriale il videoclip musicale risulta essere uno degli strumenti più diretto ed efficace al conseguimento di un’esperienza emotiva piena e coinvolgente.
Lo si può facilmente visualizzare in televisione, su un profilo facebook, attraverso l’immensa rete di proposte offerte dagli utenti di youtube, magari collegandosi dal proprio I-phone. Lo si fruisce velocemente, “distrattamente”, mentre si è per strada, mentre si aspetta l’amico o si è in viaggio. La sua storia e già lunga e ricca di argomentazioni.
In questo contesto effimero e rarefatto, La Distrazione si viene a delineare non come un bug mentale, un momento di mancata coscienza, si innesta piuttosto come possibile evento sensibile, istante catartico in cui esplorare uno spazio destrutturato e libero, contatto diretto con un assoluto intangibile eppur imprescindibile della natura umana.
Testo e musica, magistralmente composti dal cantautore romano Fabio Cinti, accompagnati dalla sua voce delicata e intensa si fondono con le suggestioni visive abilmente evocate da Simone Di Turo attraverso il montaggio e la manipolazione di fotogrammi. Il giovane artista pugliese utilizza carte di giornali, cartoncini e oggetti semplici per animare gli elementi scanditi dalla voce. In tal modo produce un immaginario mnemonico che richiama la dimensione della perduta fanciullezza, luogo d’emotività spontanea e territorio fecondo di creatività attraverso cui riscoprire il senso delle cose che, come recita il testo stesso, oggi viene sempre più confuso con la banalità.
L’accostamento di immagini e musica è sapiente e sincronico, ogni elemento concorre al raggiungimento dell’intensità emotiva, due linguaggi ben definiti e carichi di significazione che non appaiono però ridondanti nel loro rapporto di reciproco supporto al senso. Stratificazioni di suoni e di immagini si (con)fondono come a richiamare le diverse voci della coscienza che in un attimo di distrazione appaiono come fantasmi, sono la nostra storia, ci caratterizzano ma non dicono tutto sulla nostra identità. La linea veloce e sfuggente che appare nel video a definirne i dettagli sembra riecheggiare la voce chiara e rivelatrice di Cinti che ci conduce in questo viaggio nell’alterità.
Un video, una composizione musicale, hanno ontologicamente a che fare con il tempo. Ma in La Distrazione vi è una doppia temporalità, una effettiva ed una evocata. Il tempo a cui si allude è un tempo sospeso, collocabile nella coscienza solo attraverso la memoria e l’affettività, qualcosa che ha a che fare in senso stretto con l’identità.
Sul finale il video perde questo carattere astratto, le immagini diventano più chiare e la voce sembra destarsi dal suo sonno cosciente per tornare nel mondo e (ri)perdersi nell’oceano degli occhi di una sensibilità affine, un’altra anima attraverso cui riflettere la propria.
La Distrazione sembra dunque offrirci uno spunto interessante su come l’espressione artistica sfugga a categorie limitanti e istituzionalizzate per arrivare in maniera più diretta alle coscienze intorpidite e abitudinarie, un viaggio dolce e ipnotico che ci porta alla deriva per poi ricondurci a casa.